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Raccontare gli italiani in Germania è un processo complesso, per le peculiarità tanto della comunità storica, che contemporanea; è stata ed è una delle più numerose al mondo (643.065 persone nel 2017 secondo l’Statistisches Bundesamt, ma forse quasi un milione secondo stime dell’Ambasciata), ma la presenza è stata altalenante, sparendo quasi nel periodo delle due guerre, esplodendo negli anni ’50 e ’60 ma diminuendo di nuovo drasticamente negli anni ’70 e ’80. Il ricambio è stato particolarmente alto; dei circa quattro milioni di immigrati italiani venuti a lavorare nell’industria tedesca negli anni ’50 e ’60 meno di 500mila rimasero. A differenza di altri paesi dove l’emigrazione italiana è stata ed è tuttora forte, come il Belgio, la comunità in Germania presenta così un quadro complesso che non si può dividere semplicemente tra il passato e il presente, gli operai da un lato e i manager e gli scienziati dall’altro. È una situazione che si intreccia a doppio filo con la storia tedesca, dalla prima e seconda guerra mondiale (e anche prima), fino alla riunificazione e alle grandi ondate migratorie odierne. Eventi a cui gli italiani hanno preso parte in prima persona.

Un Progetto di
Lorenzo Colantoni & Riccardo Venturi



Con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale - Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie.
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Quelli che
eravamo

Il cuore dell’emigrazione italiana in Germania iniziò nelle industrie che sorsero sulle macerie del secondo dopoguerra. Il 20 dicembre 1955, infatti, il ministro federale del lavoro Storch e quello italiano per gli esteri Martino firmavano a Roma l’Accordo per il reclutamento di lavoratori italiani destinati alla Germania. Sarebbe stato questa l’occasione fondamentale per aprire le porte ai quattro milioni di lavoratori che sarebbero giunti dagli anni ’50 e ’60, e che avrebbero popolato il settore dell’edilizia, dell’agricoltura e poi le industrie automobilistiche e metalmeccaniche. Nella foto: lo stabilimento abbandonato della fabbrica Grossman, vicino Solingen, che ospitò molti italiani della grande ondata di immigrazione degli anni ’60.

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Quelli che
siamo

Identificare la nuova comunità italiana non è una missione semplice. Come in altri paesi europei, la natura degli italiani in Germania varia adesso con la geografia economica del paese; oltre ai nuovi gastarbeiter nella Volkswagen di Wolfsburg ci sono così musicisti nel conservatorio di Stoccarda, designer a Monaco, scienziati e banchieri a Francoforte, dj e startupper a Berlino. Alcuni sono venuti già negli anni ’90, con il riprendere dell’emigrazione italiana, altri, la maggior parte, con l’esplodere della crisi in Italia. Si tratta così di un mix eterogeneo di persone spinte dal desiderio di viaggiare o di trovare possibilità migliori, tutti attirati dalle varie sfaccettature del mito tedesco, dalla libertà di Berlino fino all’organizzazione della ricerca sperimentale in Germania.

Nella foto: una vista del quartiere di Berlino Schöneweide.

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Storie di mezzo

Se è vero che la comunità italiana in Germania racconta spesso di storie legate al passato operaio o alla grande varietà dell’emigrazione contemporanea, esistono anche vicenda che non si inquadrano né nell’uno, né nell’altra. Si tratta di persone che sono venute al tempo degli operai ma per fare altro, chi l’artista, chi l’imprenditore. Altri invece appartengono ad ondate migratorie meno conosciute, ma altrettanto importanti: i ribelli che scappavano dall’Italia dopo il ’68, oppure chi è arrivato in Germania per contribuire alla riunificazione dopo la caduta del Muro. Infine, esistono altre storie, di sintesi: giovani migranti italiani che lavorano con altri migranti, ma dall’Africa e dal Medio Oriente, oppure seconde o terze generazioni che si svincolano dal passato operaio per approdare nelle gallerie d’arte. Storie di mezzo, che raccontano la varietà di una vicenda migratoria, quella degli italiani in Germania, mai identica a sé stessa..

Nella foto: panorama di Berlino.

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